ERNST BERNHARD E IL CINEMA DI FEDERICO FELLINI

Roma, anni sessanta, uno dei più famosi registi del mondo, Federico Fellini, reduce dal contrastato trionfo del film “La dolce vita” sta camminando in via Gregoriana, vicino Piazza di Spagna, il suo ricordo non può che essere visuale.

“L’ora in cui andavo a trovare Bernhard più volentieri era quella del tramonto, quindi c’era un sole che ad un certo punto rendeva tutto dorato il pulviscolo della stanza.”

A presentare Bernhard a Fellini era stato il regista Vittorio de Seta che da tempo era in analisi con lo psicoterapeuta junghiano. Il film di de Seta “Un uomo a metà” fu considerato dai critici il film ombra di “Otto e mezzo”, film che forse non sarebbe esistito senza la psicoanalisi di Bernhard. Ma chi era Ernst Bernhard? La sua vita meriterebbe un film. Nacque a Berlino nel 1896 da genitori ebrei, divenuto medico e pediatra aderì all’analisi junghiana collaborando con lo stesso Jung nel 1935 a Zurigo, radicalizzando le venature teosofiche ed esoteriche. Studiava la chiromanzia e l’astrologia, faceva lunghi digiuni e consultava assiduamente l’ i-ching, l’antico libro-oracolo cinese con prefazione a cura di Carl Gustav Jung. Nel 1936 con l’avvento del nazismo Bernhard non si sentiva più al sicuro e chiese asilo politico al Regno Unito ma nella domanda fece l’errore di scrivere come professione oltre che medico Astrologo e la domanda fu rifiutata. Fece allora domanda all’Italia fascista dove invece l’asilo fu concesso.. Bisogna ricordare a questo proposito che l’antisemitismo del fascismo fu un fenomeno tardivo, ad imitazione del nazismo, la concessione dell’asilo a Bernhard ne è un’ulteriore prova.

Bernhard si stabili’ a Roma, introducendo la psicoterapia junghiana, entrando in contatto con un piccolo gruppo di freudiani diretto da Edoardo Weiss con cui singolarmente stabilì un rapporto di amicizia. Purtroppo nel 1938 vennero promulgate in Italia le leggi razziali fasciste e Bernhard ebbe molte limitazioni nella professione e nel 1940 venne arrestato, in quanto cittadino straniero apolide e portato, senza processo, nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia in Calabria.

Il campo di Ferramonti di Tarsia merita un approfondimento perché a dispetto del suo lugubre nome nessun prigioniero morì’ nel campo di morte violenta. Non era certo un bel posto, una pianura malarica, ma le condizioni dei prigionieri erano molto migliori dei tristemente noti campi di concentramento nazisti. I prigionieri non erano soltanto di religione ebraica, ma di varie nazionalità con una notevole concentrazione di intellettuali, compresi molti musicisti che organizzarono concerti e composero musica. Se il fascismo avesse voluto organizzare volontariamente un think tank di intellettuali, come diciamo oggi, probabilmente non ci sarebbe riuscito, forse possiamo paragonare l’operazione alla mostra nazista sull’arte degenerata che invece di suscitare sdegno, fu visitata in Germania da centinaia di migliaia di persone. Il comportamento della popolazione di Ferramonti fu assolutamente positivo, non solo fornivano generi alimentari ai prigionieri ma arrivarono a fabbricare violini, estremamente apprezzati, e l’inviato del Vaticano riuscì perfino a fare arrivare nel campo un pianoforte. Possiamo dire che la popolazione calabrese definita guerriera e ribelle avesse indirizzato la ribellione per il verso giusto, contro delle leggi razziali infami, ingiuste ed incomprensibili per una popolazione oltremodo mista che veniva da secoli di oppressione. Inoltre i calabresi spesso ricorrevano alla cura dei medici presenti nel campo per sfuggire agli ammazzaciucci descritti da Levi nel suo libro “Cristo si è fermato ad Eboli.”
Bernhard fu liberato nel 1941 a seguito dell’intervento di Giuseppe Tucci, famoso orientalista considerato il più grande tibetologo del mondo. Fu anche grazie a questo intervento che Tucci riuscì ad evitare le epurazioni post-fasciste, ma era alquanto singolare che il Museo di Arte Orientale di Roma fosse dedicato proprio a Giuseppe Tucci, che anche se per fini scientifici aderì’ al partito fascista. Bernhard ritornò a Roma dove visse nascosto fino al 1944.Terminata la guerra riprese la sua attività di psicoterapeuta junghiano, sempre a Roma dove rimarrà tutta la vita pur non prendendo mai la cittadinanza italiana, restando apolide. Ed è da qui che si è diffusa in Italia la psicologia analitica junghiana, anche grazie agli alievi che Bernhard ha formato tra i quali, Aldo Carotenuto, Mario Trevi ed altri.

Le differenze tra Freud e Jung, sono notevoli. Dopo un periodo di collaborazione, i due geni si separarono sia dal punto di vista professionale che dell’amicizia. La prima differenza è che non si può usare per Jung il termine psicoanalista ma è più corretto psicoterapeuta, in quanto lui fondò la scuola della psicologia del profondo. Jung dava molta importanza alla parapsicologia e all’autenticità degli allora chiamati “fenomeni occulti”. Freud invece si rifiutava di studiare tali questioni e di unirle alla psicoanalisi, sostenendo che danneggiassero la teoria. Questo è un punto molto importante per capire perché Fellini fosse così attratto dalla teoria Junghiana, poiché è noto che il maestro del cinema fosse un avido frequentatore di maghi, astrologi e cartomanti, il fatto che uno dei geni del novecento studiasse e in qualche modo approvasse i fenomeni occulti era sicuramente di grande conforto per Fellini. Anche i resti arcaici e l’inconscio collettivo dovevano essere una grande attrazione per il maestro riminese. Anche il divano divideva Freud e Jung, il genio austriaco lo usava sempre mentre Jung svolgeva le sue sessioni faccia a faccia seduto di fronte al paziente.

Come abbiamo visto fu Vittorio de Seta che presentò Bernhard a Fellini e benchè il maestro divenne un assiduo frequentatore dello psicoterapeuta tedesco non è chiaro a che tipo di terapia fosse sottoposto Fellini, che probabilmente non voleva veramente guarire, cioè perdere questo suo delirio visionario ma più che altro interpretarlo. Fatto sta che non sono state trovate relazioni su Fellini ma sarebbe senz’altro utile un esame più attento del suo archivio ora a Milano, anche perché fra i suoi pazienti Bernhard aveva in cura Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Vittorio de Seta e Adriano Olivetti.

Come fu influenzato Fellini da Bernhard? E’ una domanda che meriterebbe un articolo approfondito ma se scorriamo la filmografia di Fellini i critici parlano di una fase neo- realistica che termina con il film “Le notti di Cabiria” che anticipa i temi della “Dolce vita” che ebbe un enorme successo ma anche provocò reazioni violente dei critici, della Chiesa e di parte della sinistra, non a caso avversari della psicoanalisi, a Milano uno spettatore arrivò a sputare in faccia a Fellini di fronte ad un’atterrita Valeria Ciangottini. Tutto ciò provocò un accumulo di sensazioni negative ed era da queste che Fellini voleva liberarsi ma trovò molto di più e probabilmente Fellini non avrebbe mai fatto “Otto e mezzo” senza la psicoterapia e lo studio di Jung, Come è a tutti noto il film racconta della malattia di un regista che non riesce più a girare film, si cerca di curarla alle terme ma la malattia è psicologica e il film è un autoanalisi liberatoria che porterà al fantastico finale che tutti ricordano. In un certo senso è uno dei film più ottimistici di Fellini insieme ad “Amarcord” altro film autobiografico basato sul ricordo. Vale la pena ricordare che nel 1963 il film “Otto e mezzo” vinse contemporaneamente l’Oscar americano ed il Festival di Mosca. Sembra che il film successivo “Giulietta degli spiriti” Fellini volesse dedicarlo a Bernhard, ma tale dedica non compare nei titoli. A proposito dei titoli una curiosità raccontata da Fellini stesso era che ad un certo punto smise di usare la parola fine in ricordo del dolore che tale parola gli provocava alla fine della visione di un film.

Bernhard morì nel 1965, l’anno di “Giulietta degli Spiriti” cosa che addolorò molto Fellini così come fu un duro colpo per la sua produzione artistica il litigio con Flaiano che aveva contribuito alle sceneggiature più importanti di Fellini.. La psicoterapia ed i poteri occulti continueranno ad essere presenti nei film di Fellini ma mai a parte il citato “Amarcord” con la lucidità e potenza di “Otto e mezzo”, chissà se il film mai realizzato “ Il viaggio di Mastorna” sarebbe tornato ai livelli del suo film che molti considerano il suo capolavoro, purtroppo ci rimane solo un album a fumetti che pur realizzato dal famoso Manara non consente di dare un giudizio su quello che per Fellini era diventato un incubo tanto da farlo ammalare ogni volta che cercava di realizzare questo film maledetto. Anche se può sembrare superfluo ricordiamo che Fellini vinse quattro Oscar più uno alla carriera che Fellinii non voleva accettare perché pensava portasse male e dovette intervenire personalmente l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, pregandolo di accettare così nel mondo si sarebbe parlato dell’Italia per l’Oscar a Fellini e non per tangentopoli, era il 1993 e purtroppo il presagio del Maestro si rivelò esatto poiché Fellini morì dopo avere avuto un ictus a Rimini nel Grand Hotel, il 31 ottobre 1993. Giulietta Masina sua moglie e musa, morì il 23 marzo 1994 segno di una vita vissuta insieme fino alla fine

Purtroppo l’attività intensissima di Bernhard in italia fu eminentemente dialogica e discorsiva tanto che ci ha lasciato un solo testo ufficiale “La mitobiografia” pubblicato non a caso da Adelphi i cui fondatori erano suoi pazienti. La natura stessa di quest’opera e la scelta dell’ordinamento cronologico, forniscono un panorama orizzontale, per così dire del suo pensiero, piuttosto che una rappresentazione ordinata. Ne emergono comunque i poli delle riflessioni che accompagnarono la sua vita e le sue opere. Il polo più profondo e personale di questo pensiero è l’appartenenza alla radice culturale e psicologica ebraica, nelle sue espressioni più mistiche, e la meditazione nel rapporto fra ebraismo e cristianesimo, intese come correnti profonde e strettamente intrecciate della struttura psicologica dell’uomo contemporaneo. Non a caso, nell’ultimissima riflessione citata nel libro, egli ritorna alla prima lettura di Martin Buber filosofo e teologo austriaco naturalizzato israeliano, fatta durante la prima guerra mondiale che lo aveva stimolato ad approfondire la figura di Cristo. Nel tentativo di teorizzare filosoficamente il principio radicalmente monistico del proprio pensiero, Bernhard ritorna al concetto di Entelechia, la vita secondo un disegno, principio metafisico posto come motore primario della vita e della coscienza. E’ questa base filosofica che induce Bernhard a trasformare la psicologia analitica di Jung in psicologia del processo di individuazione, la via dell’individuazione è infatti, l’esplorazione da parte dell’individuo di un percorso di conoscenza che può significare soltanto la conoscenza del posto e del compito che la parte ha nell’organismo dell’uno.

Questa ricerca religiosa non poteva non affascinare Fellini, soprattutto quando nel lessico di Bernhard sacro vuol dire mito. L’acquisizione , la consapevolezza di tale significativa identità tra sacro e mito diventa la cifra stilistica del fare cinema di Fellini. Citando Bernhard:

“I miti sono i sogni iniziali dei popoli, che come i nostri sogni iniziali si realizzano nell’evoluzione.”
(pag. 229, Mitobiografia, Ernst Bernhard.

La weltanschauung di Bernhard ereticamente junghiana ed orientale interessava Fellini che prese a leggere Jung:

Jung, che non ho letto tutto perché tanti pezzi, devo ammettere, sono per iniziati, mi è sembrato l’autore, il filosofo, il pensatore e soprattutto il compagno di viaggio più pertinente per il tipo psicologico così sfumato, contradditorio quale con disinvoltura definiamo quello dell’artista(…) è stata una lettura nutriente che non pretendo di aver compiutamente interpretata ma che mi ha aiutato, mi ha chiarito, mi ha incoraggiato. (Pag. 91 “ Fare un film. Di Federico Fellini

“Il libro dei sogni” da Fellini definiti “ segnacci ,appunti affrettati e sgrammaticati” rappresenta una fonte inesauribile di consultazione per capire non solo la poetica, il senso cioè di fare film traducendo in immagini i sogni, ma anche per cogliere il tono affabulatorio-onirico con cui Fellini raccontava tanti episodi della sua vita. D’altronde non poteva non essere fonte di ispirazione per Bernhard l’opera di Hans Prinzhorn psichiatra e storico dell’arte tedesco trasferitosi nel Regno unito per apprendere la professione di cantante, tornò a Vienna dove rimase affascinato dalla psichiatria. Ricordiamo che anche Bernhard era un tenore dilettante ed aveva studiato musica nel campo di Ferramonti. Nel 1922 Prinzhorn pubblicò l’opera “L’arte dei folli” che includeva anche molti disegni di suoi pazienti, postulando che tale produzione artistica non era intrinsecamente disturbata ma doveva leggersi come bisogno psichico, di espressione del proprio mondo interiore. L’arte poteva di conseguenza diventare un importante veicolo di comunicazione ed un utile strumento terapeutico in quanto ponte fra il mondo esterno e l’universo interiore del paziente. L’opera di Prinzhorn venne accolta con grande successo nei circoli intellettuali, soprattutto dall’avanguardia artistica. Il regime nazista usò tuttavia il lavoro di Prinzhorn per sottolineare la similitudine fra la produzione artistica dei malati di mente e quella delle avanguardie artistiche, vedendo in entrambe il segno di un degrado mentale e morale confiscando le opere dell’avanguardia per esporle nella mostra itinerante detta dell’arte degenerata, che tuttavia come abbiamo detto si rivelò un gigantesco boomerang, attirando folle di visitatori. Altro importante contributo alla scienza della psicologia fu quello del medico francese Jean-Etienne Dominique d’Esqirol che postulò che la pazzia non riducesse necessariamente l’intelligenza di un paziente e che , di conseguenza si potesse essere folli e allo stesso tempo intelligenti.
Credo che in questo articolo ci siano molti spunti da approfondire, e spero che il ritrovato amore ed interesse per Fellini porti a questi ulteriori studi. Anche Bernhard è stato riscoperto ed a lui è stato dedicato il Parco letterario di Ferramonti Tarsia. Concludiamo con le bellissime parole di Fellini dedicate a Bernhard:

“Ti debbo moltissimo della mia vita. Ti debbo la possibilità di continuare a vivere con momenti di gioia…Grazie per sempre amico fraterno, mio vero padre. Aiutaci ancora spirito limpido, beato,. Pace all’anima buona. Ricordati di noi, ti vogliamo tutti un bene dell’anima. Addio, addio, amico del cuore, santo uomo vero.”

di Giampiero Mele